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Manzoni e la sciacquatura dei panni in Arno

Manzoni e la sciacquatura dei panni in Arno

“Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà”

Sono le prime due strofe de “Il cinque maggio”, l’ode di Alessandro Manzoni ispirata dalla morte di Napoleone, avvenuta proprio il 5 maggio del 1821, durante il suo esilio all'isola di Sant'Elena. Quella dell’autore de “I promessi sposi” è una figura indissolubilmente legata alla nostra Firenze. Qualche anno più tardi, infatti, Manzoni indicherà il dialetto fiorentino come modello linguistico ufficiale per l’Italia Unita con la celebre “sciacquatura dei panni in Arno”.

Con i suoi centootto versi raggruppati in strofe da sei settenari, “Il cinque maggio” è uno dei componimenti lirici più conosciuti della letteratura italiana. L’ode ripercorre le gesta del generalissimo ”uom fatale”, dal cui magnetismo lo stesso Manzoni rimase rapito appena undicenne, in occasione di un fugace incontro alla Scala di Milano. Eppure non si tratta di una gloriosa mistificazione del condottiero, quanto più di una riflessione che contrappone alla limitata dimensione umana il ben più vasto disegno della Provvidenza divina.

E proprio la Provvidenza è la protagonista dei “I promessi sposi”, un elemento tra l’umano e il metafisico, narrativamente equiparabile al Deus ex machina del teatro greco. Guidate dal progetto di Dio, le memorabili vicende di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella sono un capitolo fondamentale non solo della letteratura, ma anche della lingua italiana.

La questione della lingua rimaneva, infatti, irrisolta da secoli, a partire dalla monolitica “Commedia” dantesca. Ai tempi del Sommo Poeta, infatti, il volgare si articolava in numerose varianti dialettali, nobilitate anche dalla Scuola poetica siciliana, che lo utilizzavano in forma aulica nei loro componimenti.

Dopo le “Prose della volgar lingua”, in cui Pietro Bembo indicava il toscano come modello della lingua italiana, aggiungendo a Dante anche Boccaccio e Petrarca, sarà infatti il “Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla” di Alessandro Manzoni a segnare una svolta decisiva, nel 1868, a soli sette anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861.

Manzoni aveva già attribuito al fiorentino un ruolo essenziale nell’unificazione linguistica, sociale e culturale del paese. Nel 1827, infatti, l’autore si era recato proprio a Firenze per “risciacquare i panni in Arno”, vale a dire per sottoporre alla definitiva revisione linguistica la sua opera “I promessi sposi”, una tra le opere cardine dell’intera letteratura italiana.